4/13/2006

GOLDMAN SACHS RINGRAZIA

Reperito dal web
La Goldman Sachs non ha aspettato nemmeno che il governo si insediasse per far scattare l’attacco all’Italia.


«Vendere i titoli di Stato italiani, comprare quelli tedeschi»: la Goldman Sachs non ha nemmeno aspettato che il «suo» governo andasse al potere in Italia (Prodi, Draghi, Monti: tutti suoi dipendenti) per cominciare la manovra (1).

Ed è la solita di manovra: abbassare il rating italiano per svalutare i nostri cespiti e patrimoni, e poi acquistarli per un boccone di pane.

Come già fecero ai tempi del «Britannia», il panfilo della regina, su cui salì Mario Draghi ad incoraggiare la svendita (2).

Gli altri organi della finanza globale stanno tenendo bordone. Moody’s,. Fitch e Standards & Poor tutte insieme giurano su prospettive negative per l’Italia.

Risultato: già ora il BOT decennale deve avere un rendimento del 4,14, come i titoli del debito similari di Grecia e Malaysia, che stanno sotto di noi parecchio nel rating.

Il rating misura il rischio d’insolvenza.

Ovviamente, Goldman e compagni non credono affatto che l’Italia farà fallimento.

Vogliono solo, spandendo allarme, lucrare un po’ di più (a spese nostre) sui BOT che lo Stato italiota emetterà.

E nel 2006 ne emetterà per 200 miliardi di euro, un quarto dell’intero debito europeo.

Allora Goldman e compari ne compreranno a man bassa, come al solito: con un ritocco in aumento dello 0,30, su quei volumi, è un bel lucrare.

Vogliono anche imporci le «riforme» ultra-liberiste: «l’Italia ha bisogno di fare riforme serie», ha sancito Brian Coulton di Fitch.

Ossia: tagli dei salari e delle pensioni (il solo «snellimento della spesa pubblica» prevedibile), flessibilità, più tasse per colmare il debito che è fuori dai parametri di Maastricht.

Per questo agitano il declassamento del debito, anzi di più: l’espulsione del nostro Paese dall’area euro (la Germania, che al contrario di noi ha tagliato i salari ed ha riacquistato «competitività», ci sta pensando seriamente), il «farete la fine dell'Argentina».

Il loro calcolo è che Prodi farà di tutto per restare nell’euro (in fondo è la sua gloria, è stato lui a portarci dentro) e per mostrare che l’Italia paga i debiti.

La Goldman confida che i suoi dipendenti al potere in Italia applicheranno le ricette di scuola: privatizzazioni, supertassazioni e tagli dei redditi.

Ed è certa che, siccome Prodi e Monti sono «di sinistra», potranno farlo senza che la CGIL faccia sciopero, che la rivolta sociale scenda nelle piazze.

Prodi farà l’impossibile.

A spese nostre, ovviamente: ci farà sudare sangue, ci strizzerà i portafogli come limoni, ci metterà alla frusta.

E' questo il calcolo della finanza saccheggiatrice globale: di poterci strizzare a piacere.

La Goldman Sachs tira la corda dell’allarmismo.

Fino alla spasimo, tant’è sicura dei suoi addetti al governo d’Italia.

E se, alla fine, la tirasse troppo?

Perché può venire il momento in cui l’insieme di allarmismi, speculazioni al ribasso e una possibile messa in quarantena da parte dei franco-tedeschi possono accumularsi, spingendo l’Italia dove Prodi non vorrebbe: a farci fare «la fine dell’Argentina».

Cioè a fare default.

Certo, per i redditi fissi e i pensionati sarebbero mesi durissimi.

Le banche che non lasciano prelevare dai conti correnti più di 200 euro a settimana.

E che non rimborsano i BOT.

Fallimenti di aziende, disoccupazione alle stelle (vi abbiamo già suggerito: tenete i soldi in casa e in cassette di sicurezza, liquidi, in franchi svizzeri se possibile).

E la benzina alla pompa, carissima.

E i telefonini e gli altri gadget elettronici, alle stelle.

Ma intanto, guadagneremmo un vantaggio enorme: ripudieremmo il colossale debito pubblico, come l’Argentina.

E liberi dal debito, resi più leggeri dal peso degli interessi, potremmo sperare nella nostra ripresa.

Fateci caso: persino l’Argentina, dopo il default e i durissimi mesi, sta molto meglio.

Di più: tutta l’America Latina, siano al governo le destre o le sinistre, sta rifiutando le politiche d’austerità imposte dal Fondo Monetario.

Quelle politiche di tagli («riforme») che secondo il Fondo Monetario, gli Stati indebitati debbono fare «per il loro bene» - ma in realtà per garantire il pagamento dei ratei ai creditori globali.

Da quando hanno smesso di prendere la medicina del Fondo Monetario, i Paesi sudamericani stanno guarendo.

Ogni giorno diventano più robusti.

Naturalmente, questa prospettiva non piace a Goldman Sachs.

Un default sul debito dell’Italia, ed essa si trova con i nostri titoli, che ha comprato sperando di lucrare interessi più alti, tramutati in valigiate di carta straccia.

Naturalmente, la finanza globale minaccia: fate default, e poi chi vi farà ancora dei prestiti?

Lo hanno detto anche all’Argentina.

Oggi, sono loro che le offrono prestiti.

E poi e poi, nonostante quel che dice Goldman Sachs e i suoi compari del rating, l’Italia «non è» l’Argentina.

Non solo perché ha una struttura industriale più robusta e complessa e un mercato interno più grosso.

Non somiglia all’Argentina, in un particolare cruciale: che l’Italia può fare prestiti a se stessa.

Oggi, gran parte del debito pubblico italiano è in euro e sui mercati internazionali.

E’ stato Ciampi a volerci indebitare con l’estero, al solo scopo di legarci ai grandi creditori mondiali.

Ma non è una necessità.

Gli italiani hanno sempre sottoscritto i BOT, non hanno mai mandato deserte le aste.

Hanno coperto il debito, senza bisogno di prestiti stranieri.

Siamo ancora un popolo di risparmiatori, anche se affaticati dalle austerità, dalle tariffe dei monopolisti e dai rincari: possiamo ancora comprare i titoli del nostro debito, se danno buoni interessi, in una moneta nazionale, o in un euro debole.

S'intende, il ripudio del debito sovrano non è una passeggiata.

E’ una cura da cavalli, assai dolorosa, a cui il Paese, per ricavarne vantaggi, deve essere preparato. Con piani pubblici di dirigismo economico, cogliere un’occasione (che non durerà in eterno) per una vera riconversione del sistema Italia.

Un punto, dovrebbe essere una riorganizzazione scientifica del turismo.

Qui abbiamo perso colpi, dormendo sulle nostre presunte «bellezze naturali» (devastate da noi stessi) e sui «monumenti» (abbandonati alla burocrazia ottusa delle Belle Arti, fatta di archivisti e «conservatori»).

Invece il turismo è un’impresa, che occupa molta manodopera e relativamente poco capitale; ma va gestita in modo innovativo, con spirito insieme di cultura e d’imprenditoria.

Controllo ferreo di qualità-prezzo per le strutture di accoglienza, finanziamenti per alberghi di nuovo tipo (tipo villaggio), punizioni esemplari per i furbi del ristorante a prezzo gonfiato - basta imparare dalla Francia.

E ancora: sottrazione dei «monumenti» e delle «bellezze naturali» ai Comuni (che hanno in museo i bronzi di Riace, e al turista offrono la «sagra della melanzana») e alle Belle Arti (sic) per conferirli a una società mista internazionale a scopo di lucro.

Credete che DisneyWorld non acquisterebbe un pacchetto di azioni, pur di gestire Pompei come un parco tematico?

O il giardino di Boboli?

Straordinarie realtà uniche al mondo, che oggi sono un costo, diverrebbero un attivo, un cespite di profitto.

E credete che non si butterebbero, da Wall Street, a partecipare a un'impresa che offre in affitto e a noleggio tutti i quadri, sculture, pezzi di scuola che prendono polvere nei sotterranei dei musei? Sogno cataloghi in cinque lingue che offrono al presidente della Sony e a Bill Gates un dipinto «scuola di Raffaello» o «allievo di Caravaggio» da tenere nello studio per sei mesi o un anno, dietro pagamento di un noleggio comprensivo di costi di assicurazione.

Sogno cataloghi di intere mostre circolanti a tema («L’oreficeria degli Eruschi», «La vita quotidiana a Roma», con pezzi originali: c'è solo l’imbarazzo della scelta) da offrire al British, al Louvre, al Getty Museum.

La sola preparazione degli inventari accurati dei fondi di magazzino, l’edizione di cataloghi, l’illustrazione e presentazione intelligente delle opere, occuperebbe migliaia di giovani con laurea in materie classiche, oggi ridotti al triste destino parassitario dell’insegnamento.

Una nuova generazione di studiosi nascerebbe, appassionata, nel settore che in fondo appassiona gli italiani colti: l’antichità, il Rinascimento, l’arte.

E non parlo di tutto l’indotto.

Al British Museum si può comprare una copia della testa di Nefertiti, lì conservata, libri su ogni argomento e civiltà presente nella sue sale, e t-shirts e riproduzioni di gioielli greci ed egizi, calchi in gesso delle formelle del Partenone.

Orribile?

E perché?

E’ un business che dà lavoro ad artigiani non banali.

Ma naturalmente, non è il turismo il nostro solo futuro.

In un’Italia che «non è» l’Argentina, esistono ancora isole d’eccellenza scientifica.

Un’inchiesta del TG3, «Report», ne ha mostrato recentemente alcune: giovani straordinari, con salari da precari e da borsisti, costretti a lavorare in scantinati scrostati con impianti invecchiati o guasti, sempre sul punto di dover smettere per «mancanza di finanziamenti» e di prendere il volo per le università estere che li reclamano, fanno cose egregie.

Invenzioni sorprendenti.

Scoperte strepitose, che potrebbero tradursi in brevetti assoluti.

Identificare le nostre eccellenze non è difficile, visto che c’è riuscito un giornalista.

Ciò che rende difficile la loro identificazione, che rende «invisibili» i nostri giovani migliori e più dedicati, sono i baroni: quelli che stanno ai piani nobili, e mandano i giovani negli scantinati e nelle autorimesse.

Quello che occorre con urgenza, è smantellare le baronie.

Quelle universitarie anzitutto - la vera palla al piede della scienza italiana.

Quelle dei sedicenti «industriali» alla Montezemolo, che parla tanto di «investimenti nella ricerca» ma, quanto a lui, investe in una ditta di moda e vestiti di lusso.

Ma anche quella dei grand commis pubblici.

L’Italia non può pagare due miliardi l’anno a un solo dirigente statale (Gaetano Gifuni, insisto): a paga dimezzata, non lo si riduce alla fame, e resta qualche miliardo per la famosa «ricerca».

E i sindacati? Estraggono dall’Italia circa 3 mila miliardi l’anno.

Vogliamo dimezzare questo introito parassitario, inutile?

Tra le baronie parassitarie metto anche la Chiesa.

Mi risulta che il cardinal Camillo è allarmatissimo per la vittoria delle sinistre: teme che la Rosa nel Pugno tolga alla Chiesa l’8 per mille.

No, non avverrà, perché La Margherita si è già candidata a fare il partito clericale. Ma sarebbe bene che avvenisse.

L’8 per mille è radicalmente corruttore della Chiesa: l’alto clero (non i preti, poveracci, ma i vescovi della CEI) può fare a meno del popolo perché riceve i soldi da una tassa. Per questo la Chiesa va per conto suo, i suoi teologi s’inventano una nuova religione. L’8 per mille è diventata la sola cosa da difendere, la sola fede delle porpore, e l’alto clero una burocrazia inadempiente.

Il 4 per mille basta: mille miliardi di vecchie lire l’anno, anziché duemila.

E invece, un 4 per mille per la ricerca e la scienza: per quei giovani che stanno negli scantinati, studiano e fanno scoperte.

Ma non succederà, sto solo sognando. Prodi non lo farà succedere.

Forse, con lui finiremo come l’Argentina: ma dopo le sue cure, e senza i vantaggi del disastro.


NOTE

(1) Capintesta dalla Goldman Sachs per l’Europa è Claudio Costamagna (ex Montedison), la cui moglie risulta una grande finanziatrice di Prodi. Facciamo qui i nomi di altri dipendenti di Goldman: forse non vi dicono niente ora, ma li vedrete magari in qualche posto di sottogoverno o «autority» del regime-Prodi. Sono: Diego De Giorgi, Massimo Tononi, Andrea Ponti, Chicco di Stasi, James del Favero.

(2) Mario Draghi era allora alto funzionario al Tesoro, e non doveva essere sul Britannia - dove si discuteva come comprarsi a bocconi i gioielli delle partecipazioni statali - per evidente conflitto d’interesse. Per di più, tacque di questa sua partecipazione crocerina (in cui aveva incoraggiato la svendita) per due anni, quando fu costretto a dirlo perché interrogato da un’audizione parlamentare: scese, si scusò, subito dopo il suo discorso d’apertura. Per questo solo fatto, dovrebbe essere, se non in galera, ad Hammamet; invece è al vertice di Bankitalia. Il conflitto d’interesse esiste solo per uno.

Arrestato "Zu Binnu u tratturi"


PROVENZANO: ARRESTO A CRONOMETRO?

Maurizio Blondet
da http://www.effedieffe.com - 12/04/2006

PALERMO - Arrestato Provenzano.
Martedì: appena ragionevolmente certa la fine del governo Berlusconi.
Vorrà dire qualcosa?
L’esperienza da vecchio cronista ci suggerisce che questi arresti sono preceduti da un lungo periodo di controllo del catturando: è utile lasciarlo libero e tener d’occhio i luoghi dove si nasconde, intercettare i suoi messaggi, chi va a trovarlo, con chi si vede e con chi parla.
Provenzano, poi, l’hanno preso nella sua Corleone, in una masseria.
Più facile di così.
La vecchia esperienza ci dice che questo tipo di arresto poteva avvenire una settimana prima o una dopo.
La scelta dell’ora non è casuale: è eminentemente politica.
Abbiamo visto all’opera Caselli, conosciamo la sua sapiente gestione dei «successi degli inquirenti» e la tempistica geniale delle «catture eccellenti».
Perciò ora abbandoniamo l’esperienza da cronista, e scrutiamo la fida sfera di cristallo, prestito del mago Otelma.
Come strumento per vedere il futuro, molto più efficiente delle sedute spiritiche cui Prodi si dedicò per sapere dagli spettri dov’era Aldo Moro («Gradoli», risposero gli spettri: e la polizia fu mandata «a quel paese», anziché in via Gradoli in Roma).
Nel cristallo, ci pare di vedere un futuro certo.
Provenzano diventerà «pentito».
E in qualità di collaboratore di giustizia - pagato da noi contribuenti - parlerà.
Rivelerà.
Racconterà il «terzo livello»: nomi, cognomi, incontri, baci a feste di battesimo.
Si apre una nuova, entusiasmante stagione antimafia, con Violante, ministro, alla regia.
La sfera ci assicura che Provenzano sarà per il Cavaliere quello che Buscetta è stato per Andreotti. Nella sfera, ci pare di vedere il Cavaliere ordinare al telefono il pieno di kerosene per il suo jet executive, raccogliere in fretta le sue cose, e decollare per le Bahamas.
Ma questa parte è resa fluida da una nebbia fitta: non si riescono a chiarire nemmeno i misteri d’Italia passati, figurarsi quelli avvenire.
La destinazione può essere diversa.
Ci sono vari luoghi da cui non c’è estradizione.
Dal Nicaragua, dove i nostri servizi hanno parcheggiato alcuni stragisti di sinistra, al Giappone, dove sono stati mandati certi stragisti di destra.
Ce ne sono altri.
Meglio presto, dice la sfera.
Non servono «riscontri obbiettivi».
Nessuno potrà dubitare della parola di Provenzano, e la sua basterà.
Nessuna prova in contrario potrà servire a superarla.
La sola speranza per il Cavaliere, è che lo assista la longevità di Giulio Andreotti: fra vent’anni sarà assolto per insufficienza di prove, magari lo faranno perfino senatore a vita.
Ma intanto è meglio che si sbrighi: è al potere la sinistra, anche giudiziaria.
Ciampi si è complimentato con De Gennaro, il capo della polizia pre-berlusconiano (e che Berlusca ha tenuto al suo posto), per la brillante operazione.
Anche Fassino.
Anche Violante: «la straordinaria notizia dell’arresto di Provenzano dimostra che lo Stato ha la forza e la capacità di far fronte anche alla più pericolosa minaccia dell’antistato. Ora è possibile infliggere alla mafia il colpo decisivo che può consentire di affrontare nella legalità i gravi ed irrisolti problemi dello sviluppo della Sicilia».
Sante parole: ora la Sicilia fiorirà come la California, sotto il sole giudiziario.
Presto, presto, il pieno al jet!

4/04/2006

Una scelta di campo



3/31/2006

Nè laico nè confessionale

Socrate
Uno dei punti cardini attorno a cui ruota la giostra elettorale di queste elezioni politiche, è sicuramente il nodo dei valori su cui si basa la nostra società. Critiche su critiche sono piovute dalla sinistra per i recenti interventi del Cardinal Ruini e di Papa Ratzinger, i quali hanno sentito la necessità di ribadire l'auspicio che il Governo futuro tuteli la famiglia, la legge sulla droga e il diritto di vita dell'embrione sin dalla nascita. In coro verdi, radicali, comunisti, rifondazione, Di Pietro e la sinistra in generale hanno denunciato l'ingerenza del Vaticano sullo scenario politico italiano, con argomentazioni - a mio avviso - insensate. Dicono: "lo Stato deve essere laico, la Chiesa non deve intervenire sullo scenario della politica italiana, i cattolici devono votare non seguendo le indicazioni del Vaticano, ecc..". Secondo i signori della libertà di decidere sugli altri, un cattolico non dovrebbe votare secondo il proprio credo (cosa che deve essere rigorosamente tenuta nella sfera del privato, al massimo da esplicitare la Domenica quando si va a messa) ma secondo la politica espressa dai partiti. Come dire: io sono cattolico, credo nella sacralità della famiglia ma nella cabina di voto devo lasciar da parte i miei valori cristiani in nome della laicità dello Stato, quindi sempre in nome di questa posso accettare in tutta tranquillità i Pacs, vero trampolino di lancio verso i matrimoni omosessuali. E' logico che seguendo questo ragionamento la laicità dello Stato è più sacra dei valori su cui credo da cristiano. Questo è un paradosso.
Ma cos'è la laicità dello Stato? Uno Stato è laico quando fonda le proprie leggi e il proprio ordinamento sociale indipendentemente dalla confessione religiosa, cosa che invece accade in molti paesi Arabi che si fondano sulla sharia. Sacrosanto, non c'è dubbio. Ma allora da dove vengono i valori, e quindi le leggi e l'ordinamento sociale? Credo che questa sia una domanda fondamentale, che ogni uomo dovrebbe porsi, affrontando il tema esclusivamente con sè stesso, per cercare nella sua interiorità la sua vera essenza, libero dai dogmi ecclesiastici e ancor più dai dogmi dei partiti. L'uomo deve fare i conti con il suo Essere, deve seguire quella antica legge socratica valida per tutti i tempi: conosci te stesso. In noi stessi troviamo le risposte, il nostro sguardo non deve proiettarsi verso il mondo sensibile (maya, illusione per gli orientali) ma deve essere introspettivo, il nostro pensiero deve pensare la sua origine. Un lavoro sovraumano, un atto di coraggio e di forza di volontà: ma l'unica via per risalire la sorgente e vincere se stessi.